Rigetto della richiesta di congedo straordinario e discriminazione: un rischio concreto
L’erronea valutazione della sussistenza dei requisiti per la concessione di un congedo ai sensi della Legge n. 151/2001 comporta per il datore di lavoro il rischio di una condanna al risarcimento dei danni per condotta discriminatoria.
Nell’esame della richiesta del lavoratore, portatore di handicap ai sensi della Legge n. 104/1992, sarà dunque necessario prestare particolare attenzione alla situazione personale e familiare rappresentata dal lavoratore, alla luce della ratio ispiratrice della normativa applicabile.
Ci offre uno spunto di riflessione in questo senso la sentenza n. 5192 emessa dal Tribunale di Napoli il 26.11.2021.
Con ricorso ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n. 150/2011 la ricorrente, portatrice di handicap grave ai sensi della Legge n. 104/1992, sottoposta a trattamento chemioterapico, vedova, con una figlia minore a carico, orfana della madre e senza rapporti da oltre 20 anni con il padre, con un fratello residente all’estero ed un altro fratello padre di due figlie minori, in stato di disoccupazione volontaria per ragioni di assistenza familiare, si rivolgeva al Tribunale di Napoli, in funzione di Giudice del Lavoro, deducendo che la sorella della madre fosse l’unica parente prossima in grado di fornirle assistenza familiare e che questa, dipendente di un Comune della provincia partenopea, si era vista negare illegittimamente il congedo straordinario richiesto ai sensi dell’art. 42, comma 5 del d.lgs. n. 151/2001.
Il motivo del diniego risiedeva nell’insussistenza del requisito della convivenza, ritenuto dall’Amministrazione elemento indefettibile ai fini dell’accoglimento della richiesta di congedo straordinario.
Sulla scorta di tali considerazioni la ricorrente chiedeva l’accertamento dell’esistenza di una discriminazione diretta per handicap e disabilità a danno suo e della zia e la condanna del Comune al risarcimento del relativo danno nella misura di 20.000,00 Euro.
Nella decisione di tale controversia il Giudice ha fatto riferimento agli interventi della Corte Costituzionale in materia di fruizione dei congedi straordinari, tra cui il più recente è la sentenza n. 232 del 7.12.2018, e alla giurisprudenza civile in materia di risarcimento del danno per illecito civile extracontrattuale, quale la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, sez. III, n. 7128 del 21.3.2013, che ha esteso il concetto di convivenza anche alle famiglie di fatto, prive del vincolo della coabitazione.
In applicazione di tali principi il Giudice ha ritenuto che il requisito della convivenza, menzionato dall’art. 42, comma 5 del d.lgs. n. 151/2001 non deve necessariamente consistere nella coabitazione, né essere inteso come mera coincidenza dell’indirizzo di residenza. Per converso, il dato della convivenza in senso giuridico deve ritenersi sussistente in presenza di un legame stabile, inteso quale “relazione di continua assistenza e sostegno familiare”, e ciò anche in considerazione delle finalità di tutela connesse agli artt. 2, 29, 30 e 32 della Costituzione.
Il ricorrere di tali circostanze e l’effettiva esistenza di un vincolo sostanziale finalizzato all’assistenza e al supporto del soggetto portatore di handicap valgono, dunque, ad arricchire il dato formale della convivenza di un significato diverso e ulteriore rispetto alla mera coincidenza dell’indirizzo di residenza, in linea con le esigenze di protezione espresse dalla Costituzione.
Nel caso in questione, quindi, il Giudice ha riconosciuto il carattere discriminatorio della condotta del Comune convenuto in giudizio e la sua natura diretta, in considerazione del fattore di protezione dell’handicap posseduto dalla ricorrente ed estensibile anche al soggetto che a questa presta assistenza.
Per conseguenza, il Comune convenuto è stato condannato al risarcimento, in favore della ricorrente e della zia, del danno da discriminazione diretta, comprensivo anche di una componente sanzionatoria con funzione deterrente rispetto ad ulteriori condotte dello stesso tipo, pari a 12.000,00 Euro.
A fronte della tutela riconosciuta in favore del lavoratore, sarà dunque opportuno che il datore di lavoro adotti una speciale cautela nel procedimento di analisi e valutazione dell’istanza ricevuta, in modo tale da mitigare il rischio di una condotta discriminante ed una conseguente condanna al risarcimento dei danni.
Avv. Giulia Mazzetti